🤯 E se la perfezione fosse una supercazzola?


Buongiorno Reader

questa è la mia newsletter che riguarda l’impatto della tecnologia nelle nostre vite, nel lavoro e nelle relazioni.

Iniziamo con tre cose:

  1. Sono felice di aver preso parte al progetto parte al progetto "Scuola Online". Guardalo è stupendo.
  2. Oggi e domani sono a Milano per lavoro e lunedì sarò a Parma da Davines.
  3. Ti avverto che le prossime due newsletter lancerò due "big news". Una bomba dietro l'altra. Non vedo l'ora.

Tre, due, uno. Partiamo.


La supercazzola della perfezione

Ti sei mai sentitə così?

Come se, qualunque cosa facessi, non bastasse mai?

Ti guardi allo specchio e vedi solo ciò che manca.

Apri il telefono e ogni notifica sembra dirti che sei indietro.

Più ti sforzi di essere perfettə, più ti senti vuotə.

È come correre su un tapis roulant: più vai veloce, più resti fermə.

Ma forse il vero problema non è fuori, è dentro.

È quella voce che ti accompagna da sempre, che ti dice che non sei abbastanza.

Che devi fare di più, essere di più, ottenere di più per meritare l’amore e il rispetto degli altrə.

Forse è lì che tutto comincia.

Viviamo in un mondo (digitale) che alimenta questa paura.

Ci bombardano di immagini di vite perfette, di successi fulminei, di corpi scolpiti.

Ma quello che nessuno ci dice è che anche chi sembra avere tutto si sente incompletə.

Anche chi sorride in foto spesso piange quando nessunə lə guarda.


La promessa non mantenuta della perfezione

La perfezione non mantiene mai la sua promessa.

Quando finalmente raggiungi quell'obiettivo, scatti quella foto, ricevi quei complimenti, ti accorgi che il vuoto è ancora lì.

Perché la perfezione non ti darà mai quello che cerchi: amore, sicurezza, pace. È una bugia.

Ma allora se la perfezione non è la risposta, cosa stiamo cercando davvero?

La verità è che dietro ogni nostra corsa c’è sempre un bisogno più profondo. E spesso non sappiamo nemmeno qual è.

Qui entra in gioco un piccolo esercizio che ho imparato…


Un esercizio per scoprire il vero bisogno

Ti racconto una storia. Qualche tempo fa, durante un retreat, ho proposto un esercizio che all’inizio sembrava banale, ma si è rivelato trasformativo: l’esercizio dei 5 Perché.

Ho chiesto a Francesco:
"Perché vuoi eliminare le distrazioni digitali?"
Dopo un attimo di esitazione, ha risposto:
"Perché voglio dedicare più tempo a me stessə."

Sembrava una risposta chiara, ma non ci siamo fermati lì. Ho chiesto di nuovo:
"E perché vuoi dedicare più tempo a te stesso?"
Ci ha pensato e ha detto:
"Perché mi sento stanco e stressato."

Ora stavamo andando più a fondo. Ho continuato:
"Perché ti senti stanco e stressato?"

Questa volta la risposta è stata più intima:
"Perché passo tutto il giorno a cercare di accontentare gli altri e mi dimentico di me stesso."

Ma non era ancora tutto. Ho chiesto:
"E perché senti il bisogno di accontentare gli altri?"

Con un respiro profondo, ha risposto:
"Perché ho paura che, se non lo faccio, non sarò abbastanza per loro."

Ed ecco il punto: il vero bisogno non era eliminare le distrazioni o trovare più tempo per sé, ma sentirsi amato e accettato per quello che si è, senza dover sempre dimostrare qualcosa.

Ed è proprio qui che nasce un altro problema: non basta spegnere il telefono se non spegniamo il bisogno di controllo.

Non basta "disintossicarsi" dal digitale se non riusciamo a disintossicarci dall’idea di dover essere sempre all’altezza.

Un pensiero per te

L’altro giorno una persona si è disiscritta dalla mia newsletter.

Mi ha scritto che, a suo avviso, parlo troppo poco di abitudini digitali e benessere digitale, e che mi perdo dietro temi che non c’entrano nulla con la tecnologia.

Ecco, vorrei dire a te (perché lei forse non mi legge più) una cosa importante:

se vogliamo davvero lavorare sul nostro benessere digitale, dobbiamo prima riconoscere le nostre fragilità, le convinzioni limitanti e tutto quel mondo identitario che spesso cerchiamo di nascondere. Solo dopo possiamo andare oltre.

Perché? Perché il nostro rapporto con il digitale è solo lo specchio di qualcosa di più profondo: i nostri bisogni di controllo, di perfezione, di validazione. E non tutti sono pronti a sentirlo.

Io spesso dico: uscire a cena con questi bisogni non è una serata romantica, ma può essere intima.

Puoi imparare a guardarli negli occhi, riconoscerli e dirgli: “Ok, ci sei, ma non mi comandi più (come prima).”

E in quel momento, scopri che anche le tue relazioni con la tecnologia – e con te stessə – iniziano a cambiare.

La FOBO, il burnout e il mio vuoto

Parliamo spesso di FOMO (Fear of Missing Out), ma oggi voglio parlarti di FOBO (Fear of Better Option).

La paura che ci sia sempre un’alternativa migliore, una scelta più giusta, un'opzione che ci farà finalmente sentire soddisfattə.

Ma il problema è che, più cerchiamo la scelta perfetta, più rimaniamo fermi. Invece di vivere e scegliere con gioia, rimaniamo bloccati nell’ansia di poter sbagliare.

E questa paralisi ha un costo: perdiamo vitalità. Ed è la stessa perdita di vitalità che alimenta l’epidemia di burnout.

Io lo so bene. Una delle cause profonde del mio burnout risiedeva nel bisogno di dimostrare ai miei genitori, specialmente a mio padre, che ce l’avrei fatta.

Volevo mostrargli che ero un ragazzo in gamba, "nonostante" le frasi gratuite che mi lanciavano come bombe:
"Non sei capace di fare nulla."

Quel "nulla" è diventato "faccio tutto" nel lavoro.

Ho riempito ogni spazio della mia vita con impegni, obiettivi, riconoscimenti.

Ecco perché viviamo intrappolatə non solo nella FOMO, ma anche nella FOBO: la paura che possiamo sempre fare di più, essere di più, controllare di più.

Ma più cerchiamo il controllo, più lo perdiamo.

Un ultimo ... pensiero

Ricorda: anche questo messaggio non è perfetto.

Ha probabilmente qualche errore (vero Pierluigi? 🤓) qualche frase che poteva essere scritta meglio.

Ma è autentico. Ed è qui, ora, proprio come te.

Non devi essere perfettə per essere abbastanza. Abbraccia la tua imperfezione. È ciò che ti rende unicə.

P.S. Se ancora non lo hai fatto, ti consiglio il libro Il dono dell’imperfezione di Brené Brown. È un viaggio straordinario verso l’accettazione di sé e la bellezza della vulnerabilità.



🎤 la notizia della settimana

Il lavoro non è più solo uno stipendio

Secondo l’ultimo report di Randstad, per la prima volta in 22 anni il work-life balance è diventato la motivazione principale per i lavoratori a livello globale, superando la retribuzione.

L’83% degli intervistati lo considera prioritario, con una crescente richiesta di flessibilità e autonomia.

📌 Nuove priorità: i giovani della Gen Z mettono il bilanciamento vita-lavoro al primo posto, mentre i baby boomer danno ancora peso alla sicurezza economica.
📌 Il cambiamento è qui: il 31% ha già lasciato un lavoro perché troppo rigido, e oltre la metà dei lavoratori sarebbe pronta a dimettersi se non si sentisse parte della cultura aziendale.

🚀 Messaggio per le aziende: il futuro appartiene a chi capisce che il lavoro deve adattarsi alla vita, e non il contrario.


👨‍💻 I link della settimana

  • Cresce la domanda di vacanze digital detox, con ritiri off-the-grid e resort che limitano l'uso dello smartphone. QUI (EN)

  • Il Papa: La dipendenza dai social media provoca "putrefazione cerebrale". Serve alfabetizzazione mediatica, educare al "pensiero critico" QUI.

  • Questa app trasforma il tempo sui social in un premio: 100 passi per 1 minuto di accesso. Steppin richiede di camminare prima di scorrere, sbloccando l'uso delle app solo dopo aver raggiunto l'obiettivo scelto. QUI (EN)

  • A Davos si è parlato di benessere digitale e per noi italiani c'era Marco Gui, prof. della Bicocca di Milano e co-fondatore dei patti digitali. C'era anche Fernanda Maio e Mario Sgarella QUI

  • Smartphone: consapevolezza o dipendenza? Il 90% dei giovani ne possiede uno, il 64% lo usa in modo continuo e il 57% sacrifica il sonno per stare connesso. Sappiamo di essere dipendenti, ma riusciamo davvero a disconnetterci? QUI


✏️ La frase della settimana

“La perfezione è una strada senza fine: più ti avvicini, più si allontana.”
(Proverbio Zen)


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