Buongiorno Reader
questa è la mia newsletter che riguarda l’impatto della tecnologia nelle nostre vite, nel lavoro e nelle relazioni.
Iniziamo con tre cose:
- Domani corri in edicola, c'è un mio articolo su Donna Moderna.
- Il 19 agosto presenterò il mio libro a Predazzo in Trentino. Qui maggiori info.
- Ci leggiamo direttamente il 27 agosto. Fino ad allora: buon tutto, davvero.
Tre, due, uno. Partiamo.
nella mia valigia ...
Qualche giorno fa ho ricevuto questo messaggio:
“Alessio, un mese senza newsletter è dura.
Io il mercoledì mattina ti aspetto.
È il mio piccolo appuntamento con qualcosa che mi fa bene.”
L’ho letto più volte.
Con un sorriso grato, sì, ma anche con un pizzico di commozione.
Perché questa newsletter è nata in punta di piedi.
Senza grandi promesse, senza numeri. Senza dietrologie di marketing.
Solo con un bisogno: dire cose vere, nel modo più umano possibile.
Raccontarvi. Raccontarmi.
E creare uno spazio dove potessimo incontrarci senza filtri, senza dover dimostrare nulla.
E ora che siete in tanti, tantissimi, ma soprattutto profondi,
mi rendo conto che non siamo solo lettori e scrittore.
Siamo una piccola comunità che si tiene per mano nel caos.
Lo avevo già annunciato.
Ed è proprio per rispetto di questo legame che oggi ti dico:
mi fermo.
Per 40 giorni non scriverò.
Nessuna newsletter.
Non è una pausa qualunque.
È un tempo sacro.
Un tempo da riempire di silenzio, natura, domande.
Anche la scienza lo conferma:
Uno studio pubblicato su PubMed (2024) ha dimostrato che una pausa di 4-6 settimane, anche senza ferie vere, ma con disconnessione emotiva e digitale,
riduce i livelli di cortisolo e aumenta la qualità percepita della vita fino al 47%. Leggi qui
Non è solo un lusso. È salute.
Eppure, diciamocelo: fermarsi oggi è quasi scandaloso.
Come se solo chi corre valesse qualcosa.
Come se rallentare fosse un tradimento.
Ma io non ci sto.
Perché correre sempre ti stanca anche quando non te ne accorgi.
Ti fa vivere in apnea.
Ti fa rispondere a tutti, tranne che a te stesso.
E io, questo, non lo voglio più.
Scelgo il vuoto.
Scelgo il silenzio.
Scelgo me.
Un tempo per guardarmi in faccia senza filtri,
come Gesù nel deserto. 40 giorni per disarmarsi,
per lasciar cadere illusioni, rumori, aspettative.
Per tornare più vero.
Così ho iniziato da un gesto semplice.
Ho preso un foglio, e ho scritto due colonne:
Cosa porto con me?
Cosa lascio andare?
Nella mia valigia invisibile ci ho messo:
- lo sguardo di mio figlio che mi dice: “Paaapppàààà”
- alcuni libri da leggere, che da troppo tempo mi stanno aspettando
- una camminata lenta, da solo, con le tasche vuote
- il desiderio di vederlo muovere i suoi primi passi sulla sabbia
- e quella domanda che non riesco (e non voglio) risolvere: “Chi sono, se non sto facendo nulla?”
E poi ci ho messo anche una cosa difficile da dire:
la stanchezza che non riesco mai a chiamare col suo nome.
E quella volta in cui ho alzato la voce con chi amo,
non perché avessi ragione,
ma perché avevo bisogno di fermarmi
e non sapevo come chiederlo.
Porto con me anche questo.
Non per giudicarmi, ma per capirmi.
E ho lasciato a casa:
- la trappola di dover essere presente anche quando vorrei solo sparire
- il ricatto dell’utilità come misura del mio valore
- quel rumore costante che mi impedisce di sentirmi
- le notifiche che mi illudono di non essere solo
Se ti va, ti lascio un piccolo rito:
E ora ti chiedo:
Cosa ti porti?
Cosa lasci?
Prendi un foglio.
Scrivi anche tu le tue due colonne:
“Cosa porto con me” / “Cosa lascio andare”
Poi piegalo. Mettilo nella tua borsa.
Quella vera. Quella del cuore.
Anche tu, in fondo, stai partendo. Anche se resti dove sei.
Ah, un’ultima cosa.
C’è un desiderio che mi porto nel cuore da un po’.
Non è ancora certo, ma pulsa. Chiede spazio e glielo darò in questi giorni.
E ora sento che posso sbilanciarmi con te.
Desidero organizzare un nuovo retreat.
Nel 2025. Per noi.
Dopo il retreat di quest’anno, in quel convento del 1200 sospeso nel silenzio,
alcune di voi mi hanno scritto chiedendomi:
“Ne farai altri? Possiamo tornare?”
Quelle domande mi sono rimaste addosso.
E in questi 40 giorni, ci penserò su.
Con calma, con verità.
Senza forzare, ma ascoltando quello che si muove dentro.
Un tempo lento, fuori dai ruoli.
Per chi ha camminato insieme in questo anno,
con passi incerti, veri, silenziosi.
Per guardarci davvero.
Per camminare. Per respirare.
E magari restare in silenzio, insieme,
senza doverci spiegare.
P.S.
Ti lascio con un vuoto pieno.
Pieno di possibilità, di domande, di verità.
Ci risentiamo il 27 agosto.
Ma qualcosa, da oggi, sarà già cambiato.
E se qualcosa di questa newsletter ti ha toccato,
se vuoi scrivermi, fallo.
Ti leggerò con molta cura.
E ti risponderò, al momento giusto. Il mio.
Buona estate. Buon cammino.
trova la tua stazione di beatitudine estiva
Non serve partire lontano. Serve tornare.
Tornare a se stessi. A ciò che ci calma.
Un piccolo fiume vicino casa. Un angolo d’ombra. Un fazzoletto di verde. Una passeggiata lungomare al mattino presto.
Anche questi possono diventare una stazione di beatitudine.
Trovalo, in questa estate.
Vacci anche solo per dieci minuti. Ma vacci.
Portati un libro. O niente.
Prega. Medita. Scrivi due righe.
Oppure osserva, in silenzio.
Lascia che sia il mondo a parlarti.
Ti farà bene.
Più di quanto credi.